Il filo rosso – Intervista a Paola Barbato

Chi fra i lettori di blog e forum ci segue da un po’, forse saprà che la sceneggiatrice Paola Barbato (ricordiamo ai più distratti e/o mesmerizzati che è autrice di storie molto importanti per il nostro Dylan, come Il numero duecento e la doppia del ventennale) si è sempre definita ‘una scrittrice prestata al fumetto’.
Ed è proprio in veste di scrittrice che noi oggi abbiamo il piacere di ospitarla qui per fare due chiacchiere sul suo ultimo romanzo, Il filo rosso: thriller inquietante il cui protagonista, Antonio Lavezzi, sopravvissuto a uno dei tanti delitti la cui eco mediatica ci giunge quotidianamente, viene costretto a reagire al dolore che ne ha annientato l’esistenza quando viene coinvolto in un machiavellico gioco di vendette incrociate.
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Ciao Paola, un ringraziamento da parte di tutto lo staff di Cr7 per aver accettato di rispondere alle nostre domande.
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Parliamo della tua ultima fatica letteraria, Il filo rosso. Un romanzo diverso dai due precedenti sotto diversi punti di vista.
Tanto per cominciare, si nota l’intrecciarsi di più trame, legate ai diversi personaggi che attraversano la strada del protagonista.
Rispetto a Bilico e Mani nude, più incentrati sui rispettivi protagonisti, come è stata la genesi di quest’opera? Qual è stata l’idea di partenza, e come si è sviluppata?
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Ci sono stati molti fattori. Certi comuni denominatori in negativo della cronaca, per esempio. Cose non dette, visi non visti, protagonisti dimenticati. Poi c’è la quotidianità che copre tutto come una patina, una venefica melassa che pretende di rubare la reale forma alle cose. Ho fatto le mie valutazioni e i miei ragionamenti, come tutti, di fronte a certe aberrazioni dell’umanità, e da lì sono partita.
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Anche Antonio è un personaggio piuttosto inedito per i tuoi standard: è un uomo ‘comune’, e molto difficile da inquadrare, rispetto a personaggi più estremi come Giuditta e Batiza.

Il bizzarro giudice al quale lo hai affidato sembra assolverlo, ma tu come lo giudichi? Il candore e l’onestà possono compensare ai tuoi occhi l’apatia e e il disinteresse per il mondo?

L’uomo medio, l’uomo grigio può essere il più grande pericolo, perchè da un momento all’altro potrebbe diventare qualunque cosa rimanendo sempre se stesso. Ci sono mille e mille casi di persone “normali” che, travolte dagli eventi, diventano eroi o malfattori. Ma è una “normalità” che diventa abulia, malavoglia di prendere posizione, di scegliere. Conosco troppe persone così per non vederne il potenziale negativo. E ho voluto parlare di uno di loro. L’assoluzione avviene da parte di chi vive con dei principi elementari, che noi ci siamo persi lungo la strada dell’evoluzione.

Nei vari casi di cronaca nera citati nel corso dell’opera si riconoscono gli echi della spettacolarizzazione cui i mass media ci hanno sottoposti negli ultimi tempi.
Sul tuo blog hai dichiarato che da uno di questi hai avuto il primo spunto. Quanto tale realtà ha influenzato il tuo libro?

La foto della scena del delitto di Meredith Kercher è stata lo spunto per una riflessione, e da quella riflessione sono derivate molte cose. Ma in questi giorni stiamo assistendo allo smembramento del caso di Sarah Scazzi, a cui, umanamente, viene tolto tutto senza restituire nulla. Non è necessario UN caso specifico, tutti i casi, alla fine, hanno dei comuni denominatori. La spettacolarizzazione è uno dei più diffusi, e dei più disgustosi.

Invece, in continuità con i precedenti, si nota anche qui una forte presenza del tema della manipolazione: Antonio viene manipolato, come Batiza da Minuto e come Miglio da Giuditta.
È un tema ricorrente anche nella tua produzione dylaniata, basti pensare a personaggi come Ash e Amber, o alle organizzazioni al centro di Il prezzo della morte e di Necropolis.
Puoi parlarcene? Ritieni che sia un fenomeno molto presente nella realtà (in particolar modo quella attuale, dominata dai mass media), o piuttosto è un argomento che ti sta particolarmente a cuore a prescindere dalla sua incidenza sulla quotidianità?

Siamo tutti manipolati, avvicinandoci o allontanandoci da varie realtà. Chi spegne la tv indignato ne viene influenzato quanto chi la guarda tutto il giorno. A meno di non vivere in cima a una montagna ogni singola cosa che ci circonda ci influenza, volenti o nolenti. Quando quest’influenza ci forza la mano allora sembra improvvisamente “apparire”, rendersi riconoscibile. Ma c’è sempre, in forme molto più subdole.

Oltre alla manipolazione, il tuo romanzo contiene molteplici temi: la vendetta, la paura, il dolore, la mentalità della provincia, l’ossessione. Quale consideri il tema principale del romanzo, e perché?

Il dolore, le diverse reazioni allo stesso tipo di dolore. Non c’è un modo “giusto” per affrontarlo, o di reagire, e accettando questa diversità, anche quando è molto grande, potremmo avere buone occasioni per migliorare.

Il tuo libro ha ricevuto una forte promozione anche tramite il viral marketing. Come è nata quest`idea, e come hai vissuto questa esperienza? E, più in generale, cosa ne pensi del fenomeno?
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Chiamarla “forte promozione” è esagerato. È stata l’idea di Michele Rossi, il mio editor, insieme a una sua classe. L’iniziativa è stata divertente, e trovo che sia un buon mezzo di diffusione, soprattutto se fatto su larga scala e con una preparazione che parta con una buona rincorsa, per non arrivare senza fiato.

 

Più volte hai parlato della possibilità di vedere trasposizioni cinematografiche dei tuoi libri, le tue ‘figlie da maritare’. Attualmente qual è lo stato dei lavori?

La sceneggiatura di Bilico è stata completata, ora si aspetta il nullaosta della produzione. Cattleya detiene ancora i diritti di Mani Nude, ma il progetto è in stallo. Per Il filo rosso speriamo di partire a gennaio.

Un’ultima domanda ‘off topic’ per chiederti qualche piccola anticipazione dei tuoi progetti futuri, dylaniati, bonelliani e letterari. In particolare siamo incuriositi dalla tua prossima trilogia, Scripta manent, se ti è possibile parlarne in questo momento.

Finché non sgravo, non inizierò a scrivere nulla perché odio interrompermi nella scrittura. È comunque una trilogia sperimentale, dal mio punto di vista, perché c’è una sola storia raccontata, nel suo evolversi, in maniera non univoca. Di più per ora non dico, è prematuro. Sto partecipando a diversi progetti Bonelli che nulla hanno a che vedere con Dylan Dog e che porto avanti in parallelo. Vedremo come saranno accolti.
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Grazie dell’intervista e in bocca al lupo per il tuo ultimo libro, nonché per i prossimi lavori.

Che crepi, povera bestiola.

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