L’armata di pietra – Intervista ad Andrea Cavaletto

L’armata di pietra

Soggetto e Sceneggiatura: Andrea Cavaletto
Disegni: G. Montanari & E. Grassani
Copertina: Angelo Stano

Il tranquillo villaggio di Howlstone è sconvolto da una serie di misteriose sparizioni che sembrano solo il preludio di una minaccia più grande. Per Dylan Dog sarà una corsa contro il tempo per sventare il ritorno di un’antica minaccia che sembrava dimenticata nelle nebbie del passato…

Anche quest’anno è in arrivo il consueto appuntamento con il Maxi Dylan Dog, giunto alla sua tredicesima pubblicazione. Ancora una volta Montanari & Grassani ci introdurranno nei torridi mesi estivi con le loro tavole (purtroppo non da surf!) e, come spesso è già accaduto in passato, ad affiancarli ai testi ci saranno sia autori noti da tempo ai lettori della serie, Mignacco e Di Gregorio, sia nuove firme. Nella fattispecie, stiamo parlando dell’esordiente Andrea Cavaletto.

Un esordiente, ma solo per quanto riguarda Dylan Dog, come dimostra il suo invidiabile curriculum (risalgono soltanto a poco tempo fa la pubblicazione del suo Dibbuk e di El Italiano, giusto per fare due esempi). Per ulteriori informazioni su questo giovane autore si possono consultare la sua scheda biografica nel WikyDyd, il suo sito personale, il topic a lui dedicato nel forum di Cravenroad7.it… o si può leggere l’ntervista che Andrea ci ha gentilmente rilasciato in questa occasione speciale! 😉

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Ciao Andrea, intanto benvenuto su Cravenroad7.it, grazie per averci concesso quest’intervista e… in bocca al lupo per il tuo esordio su Dylan Dog nel prossimo Maxi!

Crepi il lupo!

Per chi non conoscesse i tuoi lavori diciamo che è da un bel po’ che sei attivo in campo artistico a 360 gradi, a livello sia nazionale sia internazionale, come sceneggiatore di fumetti e cinematografico, disegnatore, graphic designer, scrittore di prosa… quando ti svegli la mattina provi mai un senso di smarrimento della personalità? Ci parleresti un poco delle tue esperienze più significative prima dell’arrivo in Bonelli?

Sì, effettivamente credo proprio di avere problemi di personalità multiple, anche perché come graphic designer lavoro da anni su licenze quali ad esempio Barbie della Mattel, facendo quaderni e diari di scuola (e divertendomi anche a farli), cosa che fa un po’ a pugni con la mia passione sfegatata per l’horror (visto che tra l’altro in tale campo ho fatto due o tre cosette decisamente “estreme” e non proprio “politically correct“, eheheheh). Comunque, parlando di esperienze passate, che posso dire? Credo che ogni esperienza, anche la più piccola, alla fine sia per me significativa. Non è un discorso retorico, ci credo veramente… Non c’è una sola cosa tra quelle che ho fatto che non rifarei adesso (bè, magari qualcuna la rifarei meglio, ma questo è solo dovuto al fatto che crescendo un po’ si migliora). Quindi davvero, non saprei cosa segnalare, anche perché se dico qualche titolo in particolare mi sembrerebbe di fare un torto a quelli non menzionati… Potrei citare solo alcuni tra gli ultimi lavori che ho fatto, e che oltre ad avermi divertito mi stanno dando delle belle soddisfazioni a livello di critica. In campo fumettistico potrei citare Dibbuk (Edizioni BD) e Pornofagia (Absoluteblack), mentre nel settore cinematografico il lungometraggio indipendente Dirty Love si sta facendo notare più di quanto io stesso potessi immaginare. Ma ripeto, nomino questi solo perché sono i miei ultimi lavori, ecco. Poi mi diverto anche un sacco a disegnare storie di Carmilla o Calavera, su testi di Francesca Paolucci e di suo marito Enrico Teodorani per la EF Edizioni… Un sacco di cose, insomma!

Finora, nell’ambito del fumetto, ti sei sempre mosso in quelle che vengono comunemente definite realtà “indipendenti” o underground. Ritrovarsi a lavorare per un editore come Bonelli, celebre per il suo rigore ed il suo “tradizionalismo”, ti ha causato delle difficoltà? Hai cambiato in qualche modo il tuo metodo nell’affrontare la stesura di una storia?

Mah, vedi, non è che faccio grande distinzione tra indipendente e mainstream. La cosa importante è che in ogni storia che racconto (o che disegno) ci metto la passione e il massimo dell’impegno. Poi ovviamente nel mercato indipendente si hanno più libertà (ma anche margini di errore immensamente più ampi), mentre quando si lavora per un grande editore (e per di più su un personaggio che non è nemmeno tuo) bisogna mettersi al servizio del suddetto personaggio, cercando di far filtrare il proprio pensiero e le proprie idee senza imporsi con stravolgimenti che nella maggior parte dei casi creerebbero solo danni. Però davvero, se scrivo una storia lo faccio fondamentalmente prima per me che per l’editore o il lettore. Non è che questa considerazione debba essere presa come uno sgarbo, anzi… Finché sono io il primo a essere soddisfatto delle mie storie, so che sto andando nella direzione giusta. Poi il mio modo di fare horror è a 360 gradi, e mi piace passare dall’exploitation più crudo al thriller psicologico, quindi non è detto che il lettore di Dibbuk (per esempio) apprezzi il film Dirty Love (altro esempio). E chi compra Barbie non vorrà mai vedere alcune delle mie produzioni orrorifiche, certo. Eppure c’è sempre un po’ di me in ciascuno dei miei lavori, proprio perché mi sono divertito a farli. Tutti quanti.

Le tue numerose attività sono tutte contraddistinte da alcune marche ben definite e riconoscibili, come ad esempio le tematiche del gore e del gothic. Con queste premesse, credi fosse naturale l’approdo a Dylan Dog, la testata horror per eccellenza del fumetto italiano? E secondo te Dylan Dog può essere ancora definito un fumetto horror?

Mmm… Credo di aver già risposto in parte a questa domanda… Forse mi sono fatto “notare” dagli appassionati di horror per alcune scene estremamente gore o particolarmente perverse, ma ho creato un sacco di altre storie dove la presenza di sangue è minima se non addirittura nulla. E comunque spesso (se non sempre) l’horror nelle mie storie è solo un pretesto per raccontare “altro”, per mettere giù le mie idee, i miei pensieri, le mie paure… Uso l’horror come base di partenza perché credo di muovermi bene nel genere, in quanto ne sono appassionato fin da piccolo, tutto qui. Parlando di Dylan Dog, sono un fan di vecchia data del personaggio, e da ragazzino mi dicevo che prima o poi sarei riuscito a scriverlo, quindi non ti puoi immaginare quanto sia contento del traguardo raggiunto! Secondo me Dylan Dog è sempre stato qualcosa di più di un fumetto horror. Anche Dylan Dog usa l’horror per raccontare “altro”, quindi non so dirti se il mio approdo alla testata sia stato un processo naturale, ma di sicuro sento un forte feeling verso il personaggio…

In una recente intervista (visibile qui), hai dichiarato di rifarti, per Dylan Dog, alla temperie dei film horror degli anni ’80. Spiegaci un po’ più nel dettaglio cosa intendi con questa affermazione e quali sono, secondo te, le caratteristiche fondamentali per la creazione di un buon horror (magari in stile eighties).

Eheheh, non so se lo hai notato, ma gli ’80 stanno tornando!!! Quindi perché non ripescare l’horror di quegli anni (e che anni!!!) attualizzandolo? Tra il finire degli anni Settanta e la prima metà degli anni Novanta è uscita una serie impressionante di film culto che sono ancora oggi delle vere e proprie pietre miliari tra gli appassionati (non sto ad elencarli perché altrimenti non finisco più, ma fidatevi, è così!), ricchi di fantasia, mostri, scene incredibili e sopra le righe (assolutamente inverosimili forse, ma chi se ne frega se poi alla fine ti sei divertito un mondo?) Oggi sembra che ormai gli horror siano riconducibili al filone dello psicopatico (o della famiglia di psicopatici, magari anche un po’ deformi) che rapisce, stupra e tortura… E infatti quando mi sono state commissionate tre sceneggiature cinematografiche per dei low budget movie in Sudamerica, mi è stato proposto proprio questo: scrivere tre storie di sevizie e torture etc. etc. etc. Dirty Love è il primo di questa “trilogia” ed entra perfettamente nel genere torture & exploitation, però ho esagerato così tanto in alcune scene da superare il limite del credibile, proprio come si faceva negli anni ’80. E i due film successivi, La Creación e Toro Loco saranno ancora diversi. Molto, molto diversi…
Quindi secondo me sono questi gli ingredienti di un buon horror in stile eighties: fantasia, esagerazione, personaggi sopra le righe ma ben tratteggiati, senso del fantastico e tanta, tanta voglia di stupire.

Come già anticipato, la tua prima storia per l’indagatore dell’incubo apparirà sul Maxi n. 13, in uscita a giugno, e si intitola L’armata di pietra, ma sappiamo che il titolo provvisorio era Il popolo delle nebbie. Il titolo di lavorazione per la tua seconda sceneggiatura è La stagione delle piogge e inoltre sul forum di Cravenroad7 hai scherzosamente dichiarato di pensare già a una Neve crudele. Ora, il recente cattivo tempo ci ha messo tutti di malumore, ma tu sembri averla presa davvero a male!

Eheheh… effettivamente… no vabbè, tranquilli… niente Neve crudele per ora… Ma il tempo atmosferico avrà un suo peso anche nella terza storia che ho appena finito di scrivere… Che devo dire? La metereologia mi influeza molto, nel bene e nel male. Mi influenza nell’umore e nello scrivere… Temo sia uno dei miei tanti piccoli problemi mentali…

Ti va di parlarci un po’ più approfonditamente de L’armata di pietra? Nello scrivere questa sceneggiatura, hai sentito il “peso” della responsabilità che comporta una prima prova?

Inutile svelare troppo su L’armata di pietra, tanto tra due settimane esce in edicola… Per quanto riguarda il peso della responsabilità, bè, ovvio che un po’ l’ho sentito, ma ho cercato di non pensarci troppo e affidarmi alla mia innata (e a volte beata) incoscienza, altrimenti mi sarebbe preso il panico da prestazione e non avrei combinato nulla di buono. Ringrazio poi Giovanni Gualdoni e Mauro Marcheselli che mi hanno dato le dritte giuste in modo che non facessi fare a Dylan delle cose per cui i lettori sarebbero stati anche giustificati a linciarmi, eh!

I lettori di Dylan sono numerosi, agguerriti e hanno la testa dura! Forse anche loro possono essere un po’ considerati “un’armata di pietra”.

Direi di sì! E se la mia storia non sarà di vostro gradimento, io vedrò di dissolvermi come “il popolo delle nebbie”…

Ancora grazie per la chiacchierata e buon lavoro!

Grazie a te! È stato un piacere!

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