ICERRR ha scritto:
Provo a fare un discorso più completo, anche se non so quanto potrebbe essere coerente. Premetto che
il film l'ho visto solo due volte e ormai diversi mesi fa, quindi alcune cose potrei ricordarle male o non ricordarle affatto.
Per come l'ho vista io il film parla del mancato interesse nel significato dell'arte e del suo simbolo sociale ed economico... Quindi
niente roba metanarrativa da nessuna parte, almeno per me.
La figura dello chef è stata idealizzata tanto da fargli perdere la sua umanità e farlo impazzire. Lui non è più un uomo ma un "genio" o un "cuoco rivoluzionario". Ha sofferto come un animale per colpa di suo padre, però nessuno prova empatia perché è sottinteso che ogni grande artista abbia problemi personali quindi boh chissenefrega. Margot alla fine riesce a liberarsi perché infrange il dogma del grande artista provocandolo più e più volte, non arriva a umanizzarlo e a cercare di capirlo ma comunque lo vede come persona. Anche l'amore verso la creazione artistica è un tema ricorrente, lo chef è [indirettamente] allontanato da fare quello che vuole proprio perché non è concepibile che lui sia un uomo capace sì di creare opere complesse ma anche col bisogno di divertirsi e fare qualcosa senza troppe pretese. Perché il punto non è tanto che la roba complessa sia irreversibilmente negativa, il problema è che
la complessità è vista come un'estetica e si ignora cosa si nasconde dietro ad essa.
I piatti stessi appaiono vuoti e privi di alcun valore nutrizionale perché le persone vengono da lui per [comprare] l'idea. Tutti i presenti alla cena sono lì per l'importanza economica/sociale del ristorante... È come quando c'è un concerto di musica classica alle conferenze e gli unici spettatori sono il sindaco e gli assessori tanto per farsi vedere e si dimenticano tutti che i musicisti sono persone che si sono impegnate per imparare a suonare quei brani. Lo scenario è più o meno quello.
È anche importante notare che
il film non spiega quale sia il modo giusto di trattare gli artisti, perché Julian alla fine muore. Tutto quello che dice è di trattare l'arte (e l'artista) con umanità, non ha il pretesto di dirti il perché e il percome, a questo devi pensarci te.
Questo è cosa sono riuscita a capire... Siate pur liberi di non concordare ma fatelo con gentilezza se no piango.
Il discorso meta-cinematogtafico ce l'ho visto io, data anche la mia ideosincrasia per questo tipo do cinema che riconduco, spontaneamente, a quel tipo di cucina che il film va a criticare. A me pareva evidente,essendo il suo palesemente un discorso sull'arte tutta, e non sulla cucina. Ma magari ce l'ho visto io e basta eh, magari era una sovrainterpretazione mia...
Comunque, sono molto d'accordo con tutto quello che dici, il senso del film é quello ed é palese! Il problema é:
1. I "messaggi" vengono lanciati tutti insieme, alla rinfusa, senza una continuità concettuale ma a mo' di provocazione e punzecchiatura. Spesso vanno in contrasto tra loro più che concordare. Il film non porta (come giustamente evidenziato da te) né una tesi né una soluzione, solo tanti semini, spesso incoerenti tra loro, buttati al vento. Anche in questo ci ho visto tanta confusione, come se si avesse l'urgenza di dire qualcosa ma non si avesse ben chiaro in testa né cosa né come dirla.
2. i "messaggi" sono mandati in maniera davvero troppo didascalica. Tutti i personaggi e le loro reazioni, nel film, ruotano attorno al fatto che quell'idea, quel messaggio arrivi allo spettatore, perdendo quindi di credibilità e di efficacia. I personaggi diventano maschere o macchiette o stereotipi in funzione del loro ruolo, e la cosa non é un problema di per sé, ma lo diventa se TUTTI i personaggi, protagonista compresa, lo sono, e se lo sono per tutta la durata del film. Così facendo, dopo poco, cominci a vedere "i filo" dietro ai burattini e vieni tirato fuori dallo spettacolo.
3. Manca tutto il resto. Al di fuori del messaggio davvero non c'é nulla, il vuoto pneumatico.
4. A me come messaggio fa proprio cacare.
...
E qui vorrei una discussione un po' seria: nessuno costringe davvero lo chef a fare quello che fa. Non esiste pressione sociale/culturale talmente alta da costringerti a fare qualcosa aldilà della tua volontà.
Lo chef,
se non lo fa per passione, lo fa per soldi o per fama. Lo stesso vale per l'artista: nessuno fa art for art's sake. Se sei stufo del tuo percorso, nessuno potrà vietarti di cambiarlo; il prezzo da pagare é guadagnare molti molti soldi in meno e non essere considerato un dio in terra.
Se sei visto come un divo é perché in qualche modo sei entrato, tramite la tua arte, nel meccanismo del divismo. Uscirne é facilissimo: basta smettere di fare quell'arte. Peró farlo é molto doloroso, in termini economici e in termini di ego.
Per questo mi danno fastidio questo tipo di moralismi: criticare un sistema "dal dentro", quando uscirne sarebbe facilissimo, ma comporterebbe la perdita di qualcosa (nel caso del film più ego che soldi) che tu non vuoi perdere!
Non funziona così la vita, ogni cosa é uno scambio, ogni scelta un compromesso.
Non puoi pretendere di essere considerato un dio dell'arte, senza che la gente pretenda da te l'infallibilità di un dio.
Non puoi criticare le brutture di un sistema, senza rinunciare alle bellezze che questo ti dà.
Non capirlo vuol dire essere, secondo me, dei viziati e dei disadattati alla complessità delle cose.
Non mi piace questo moralismo davvero spiccio, mono-direzionale e che punta sempre al bersaglio facile.
Troppo semplice così