Un 7 secco a questo quarto capitolo de
Il pianeta dei morti, complice anche un buon Casertano (migliore che in
Gli abbandonati).
La storia, che inizia con un Dylan stile Dellamorte e omaggia i creatori del personaggio, ha uno svolgimento piuttosto frammentario, ma questo mi è parso uno degli elementi di maggior fascino, ed è, come prevedibile, fortemente drammatica e con un forte senso dell'orrore, che mi sembra sempre incombente, anche nelle scene in cui gli zombie sono assenti o sono presenze tranquille, forse più allucinazioni che reali. Il merito di Bilotta, più che nella trama, è evidente nella creazione di situazioni e scenari e nel disegno dei personaggi, Dylan su tutti, ma non solo, di rilievo sono anche la figura della morte, Skye, Werner, il sergente Jenkins, figlia di tanto padre, che non mi è sembrata certo solo una macchietta e tanti altri, principali, secondari o terziari. Gli inserti con le storie pre-morte di alcuni zombie non mi sono sembrati (almeno non solo) dei semplici riempitivi (o a non farmeli sembrare tali è stato bravo lo sceneggiatore), né ingombranti o fini a loro stessi come ad esempio risultano in alcune storie di Di Gregorio (anche, sempre a mio parere, nello speciale precedente, l'ultimo indipendente da questa saga?).
Recchioni nell'editoriale afferma come questa storia sia fruibile in maniera autonoma. Su questo non sono d'accordo. Ritengo invece che per essere apprezzata come si deve bisogna almeno aver letto due su tre capitoli precedenti questa saga. Un lettore neofita si troverebbe più disorientato che altro e c'è continuity e ancor più ce ne sarà in futuro: la prossima storia per forza di cose dovrà ricollegarsi a questo finale
Ritengo inoltre che questo grande what if non possa essere prolungato all'infinito, ma che sia bene che a) rimanga unicamente nelle mani (anche di sceneggiatore, non solo di soggettista) del suo autore e b) che prima o poi (e nemmeno tanto poi) abbia un termine, altrimenti un senso di ripetitività o stanchezza potrebbe farsi vivo prima o poi (nonostante l'annualità) e inoltre che i collegamenti col Dylan “normale” potrebbero, nonostante citazioni e ammiccamenti (qui ce ne sono a profusione, forse proprio per creare forti agganci?) farsi sempre più labili. Un'altra considerazione: questa è nata come una costola dal mensile di una volta o come un gioco o esperimento da Color Fest che però su quello poggiava le basi, ora (magari verranno inseriti anche elementi dalla nuova fase dylaniata, ma spero di no... certo un Carpenter zombizzato fatto secco proprio da Dylan un sorriso lo strapperebbe...), tra il rinnovamento della serie mensile, l'Old Boy col suo tempo cristallizzato e questo speciale un certo caos nel personaggio e nella sua identificazione si sfiora eccome (per il lettore è un bene – più varietà – o un male – più confusione? Per il lettore di lungo corso forse è un bene, per uno più recente o che si avvicina solo ora non saprei proprio).