Intervista a Sclavi

Intervista a Sclavi
Intervista di Tiziano Sclavi rilasciata per La Repubblica, il 30 giugno 2002
Di Antonio Gnoli

UNO DEI PIU’ GRANDI TALENTI NARRATIVI HA SMESSO DI SCRIVERE E ORA CI PARLA DELLA SUA CRISI

Che fine ha fatto Tiziano Sclavi? La prima volta che ci vedemmo fu a Milano. Non rilasciava intervista e fu un’impresa strappargliene una. Non parlava per delle ragioni che non avevano niente a che vedere con lo snobismo, con il disprezzo, o magari con la semplice strategia comunicativa del tipo: meno parli e più cresce l’attenzione intorno a me. No, nessun calcolo. Era il puro disagio psichico a tenere Sclavi lontano dai media. Negli anni a seguire abbiamo qualche volta parlato per telefono. Ci sentivamo per commentare qualcosa che era accaduto nel mondo e magari poteva essere interessante il punto di vista di uno come lui, che aveva le antenne giuste per capire in anticipo mode e fenomeni. Ma lui, intendo Sclavi, com’è? Immancabilmente le telefonate finivano con la promessa solenne di passare per Milano e andare a trovarlo, riannodando certi fili che improvvisamente si interruppero un pomeriggio di dieci anni fa, quando visibilmente provato Sclavi abbandonò il ristorante in cui eravamo, con alcuni suoi amici, per aspettarci fuori. Non gli ho mai chiesto che cosa quella volta lo fece star male. Nel frattempo Sclavi ha continuato la sua vita: quel grande fenomeno massmediatico che ha rappresentato Dylan Dog la sua creatura più prestigiosa, continua a vivere bene. Ma lui, Sclavi, dice di averla lasciati in mani più sicure. Non se ne occupa. O se lo fa è solo per quel tanto che richiede la sua approvazione. Romanzi non ne scrive più. Insomma come vive oggi uno degli uomini di maggior talento narrativo che l’Italia degli ultimi trent’anni ha avuto?

SCLAVI: VIA DA DYLAN DOG E DALL’ANALISI COSI’ SONO RINATO AL MONDO

– Mi sono sposato – dice – e vivo felice – La sua nuova casa è a un’ora circa di treno da Milano, immersa nel verde di un bosco, al riparo, si direbbe dalle nevrosi che assediano la città. Sclavi è venuto con la macchina a prendermi alla stazione di Venegono Superiore. Il caldo è opprimente. Nella Smart l’aria condizionava al massimo. Mi stupisco che guidi, che abbia una patente. Che sia così disponibile. Una scritta su un muretto recita “Forza Azzurri” Gli chiedo se ha seguito i mondiali di calcio.

– Non mi piace il calcio, non sono tifoso, non mi piace la televisione. Però ho visto Italia-Corea. Ho visto quella partita e sono convinto che se l’Italia ha perso la colpa è stata anche mia. Ho l’impressione, a volta, di portare sfiga

Perché non le piace il calcio?
– Non mi piace lo sport in generale. Lo sport è fascismo

In che senso
– Trionfa la forza, la competizione, e alla fine vanno avanti solo i primi. E’ una scuola di umiliazioni

Sembra un fatto personale
– Lo è. Ripenso all’educazione fisica nelle scuole. Quei professori di ginnastica, così odiosi e inutili, che impartivano ordini. Ero un bambino grasso, goffo, silenzioso. Preso di mira dalla loro tracotanza mentale e fisica

Come è stata la sua infanzia?
– Se la paragonassi a quella di tanti altri, forse direi normale e a tratti felice. Ma io so che è stata brutta. E non ho bei ricordi

Lei è nato in un paesino del pavese
– A Broni, però ho abitato per tutta l’infanzia a Canneto Pavese, un posto che odiavo

Perché?
– Vorrei non rispondere

E’ così doloroso ricordarlo?
– Diciamo che mi appello al quinto emendamento perché la risposta potrebbe incriminarmi

Che cosa pensa del fatto di essere considerato un uomo di talento
– Non so che cosa pensare. Dica lei

Dovrebbe farla sentire meno infelice
– Trova? Se talento è inclinazione che un genio ha verso qualcosa, allora non mi interessa. Non mi considero certo un genio. Se talento è voglia di comunicare attraverso la scrittura, allora l’ho avuto

Perché parla al passato
– Da tempo non faccio più niente. O meglio non faccio quello che la gente e gli amici si aspettano

Si sente in crisi?
– Mi sento un po’ vecchio e stanco

Mi scusi, quanti anni ha?
– Vado per i cinquanta

Le crisi, diciamo quelle creative, fanno comunque parte del talento
– Stephen King ha descritto benissimo cosa vuol dire per uno scrittore di talento finire nel gorgo della crisi: la paralisi mentale, la noia che avvolge i pensieri, il senso di inutilità. La differenza è che le sue crisi sono durate alcuni mesi. Le mie vanno avanti da anni

Se dovesse definire la crisi con una battuta?
– Qualunque cosa decidi di scrivere deve nascere da una spinta interna. Se non c’è quella, se non c’è il desiderio, che fai?

E’ databile questa crisi?
– E’ cominciata seriamente con il mio ultimo libro pubblicato

Se non sbaglio un romanzo
– ‘Non è successo niente’ è il titolo. Avevo riposto aspettative enormi in quel romanzo

Perché?
– Parlavo di me, forse di una generazione un po’ allo sbando. E’ poi diciamo la verità, non mi dispiaceva quello stile.

Un po’ cinematografico.
– Ecco. Capisce? E’ come sapere di avere la storia giusta e le persone a cui raccontarla. Mi aspettavo un successo, come minimo, planetario

E invece?
– Settemila copie, con una grande editore. Mi è crollato il mondo

Sono cose che capitano, le resta la consolazione di aver scritto qualcosa innanzitutto per lei
– Scherza? Io scrivo per gli altri. Sono balle quando qualcuno dice che lo scrittore scrive per se stesso. Quelli che tengono le loro opere nel cassetto non vedono l’ora di essere pubblicati postumi

Lei quando ha cominciato a scrivere per raccontare?
– Fin da piccolo. Ricordo che è stata mia madre la prima lettrice. Scrivevo e disegnavo. Ma nel disegno non avevo affatto talento

Altre passioni artistiche?
– Il regista cinematografico, ma è un lavoro troppo di gruppo perché lo possa davvero fare. E poi il cantautore, ma ahimè sono stonato

Però ha scritto canzoni
– Delle ballate. Umberto Eco mi ha detto che la metrica di quelle ballate era sbagliata. Ma io le ho scritte pensando alla musica e non per essere recitate

Il suo Dylan Dog a volte era arricchito di alcune ballate. Non le pesa, o meglio non la turba, il fatto di aver rinunciato a raccontare le sue imprese?

– Anche in Dylan Dog ho investito tantissimo. Lì dentro c’è la mia vita. Non ho mai fatto classifiche su che cosa era meglio, se scrivere fumetti o romanzi

Le da fastidio che se ne parli?
– Niente affatto. Non sono come Conan Doyle che odiava Sherlock Holmes. In tutto avrò scritto un centinaio di storie di Dylan Dog. E spesso piangevo quando morivano i mostri. Capisce che alla fine uno come me si sentiva un po’ spompato

Cosa pensa del fatto che qualcun altro ha continuato a raccontare le storie di Dylan dog
– Ritengo che gli sceneggiatori che mi hanno sostituito siano bravissimi. Oggi i miei interventi sulle storie sono davvero minimi

Dopo Sclavi i nipotini di Sclavi
– Non la metterei in questi termini. Nei momenti di massima esaltazione mi piace immaginare che certe cose abbiano dato vita a un gruppo. Però sono per
l’abolizione dello sclavismo

Non male, mi sembra una battuta di Groucho
– Potrebbe averla pronunciata

Il personaggio di Groucho era il contrappeso agli incubi di Dylan dog
– E’ vero. Del resto l’horror mi piace sempre meno. E’ lo splatter come genere è finito. Le poche storie alle quali ancora lavoro tendono alla commedia, alla Neil Simon per intenderci

Quindi non è buio totale nella sua crisi
– Avevo incominciato a un romanzo nuovo, ne ho scritto una metà e alcune storie nuove di Dylan Dog. Poi è arrivato il blocco. Mi ricordo che fissavo il computer acceso con una malinconia crescente e io che dico “Tiziano, che cazzo stai scrivendo”

Ha buttato tutto?
– Non butto mai niente. E’ una regola. Ho il senso del lavoro e del tempo che passa

Che rapporto ha con i soldi?
– Ho un po’ le mani bucate. Sono un tirchio dai cinquanta euro in giù- Non è mia la battuta, ma rende l’idea. I miei soldi vanno via per le cose più futili. Colleziono di tutto: computer, penne stilografiche, accendini, statuette di Superman, armi di plastica, videogiochi. Circondato da queste cose sono un bambino felice

Che senso ha per lei collezionare
– Nessuno, anzi le dirò che a pensarci bene mi provoca una leggera tristezza. Credo che il gesto del collezionare sia prettamente maschile. Il che la dice lunga sulla scarsa intelligenza degli uomini.

Lei colleziona anche libri
– Li colleziono, diciamo li raccolgo, e a volte li leggo

Con che criterio?
– Nessuno. Passo tranquillamente da Don Chisciotte all’ultimo Ludlum. Però i miei autori preferiti sono Thomas Mann e Stephen King

Un accostamento un po’ ardito
– No, perché metterei tranquillamente Misery all’altezza di tutto Mann. E’ un libro che riscatta le pene del romanzo popolare

E’ la storia di un’ossessione, di uno scrittore costretto a scrivere
– Uno scrittore non dovrebbe mai essere costretto. Sei costretto a fare l’operaio, il minatore, ma non lo scrittore

Com’è la sua giornata , ora che scrive sempre meno?
– Dormo, mangio, faccio le cose più normali. Mi occupo del cane e del gatto. Vedo molti film. Per un po’ lavoro e leggo, ora mi occuperò ad esempio della mia biblioteca

In che senso?
– Ho deciso di donare i miei 25 mila volumi alla biblioteca civica del paese. Vorrei che a goderne fossero gli altri, soprattutto i ragazzi

E’ strano una donazione fatta in vita
– Da morto che gusto ci sarebbe?

La morte è spesso entrata nella sua vita
– E’ stata la compagna delle mia vita. Non sa quante volte mi sono svegliato in un letto d’ospedale dopo aver tentato il suicidio. Arrivavo a prendere centinaia di pasticche. Ma siccome sono un vigliacco militante, telefonavo all’amico chiedendogli di venirmi a salvare

Come ha curato le sue depressioni?
– Ho provato di tutto. I farmaci innanzitutto. Potentissimi. Ricordo che la volta in cui andammo assieme al ristorante avevo assunto un farmaco a causa
del quale mi sentii malissimo. Scoprii in seguito che era incompatibile con certi cibi. Poi ci fu l’elettroshock. Fu umiliante, avvilente, pazzesco

Perchè?
– Venni ricoverato a Pisa in una clinica e poi fui portato da un’altra parte, perché la clinica non era attrezzata. La cura, voluta da un celebre primario che aveva scritto tanti celebri libri, consisteva in una serie di elettroshock da fare sotto anestesia totale. La terza o quarta volta che andai furono così goffi, così dilettanteschi da farci involontariamente vedere un paziente che stava subendo lo stesso trattamento. Fu uno spettacolo orribile

Lei cosa fece
– Me ne andai di corsa. Fermai un taxi e chiesi ala tassista quanto mi sarebbe costato arrivare a Milano. Mi disse: un milione. Salii in macchina e partimmo.

Quando prima alludeva alla sfortuna era anche a questo che si riferiva?
– Ma sì, per dirla con Guccini, la mia vita fino a un certo punto è stata “tutto in incubo scuro, un periodo di buio, gettato via”

La vita di ciascuno di noi è una somma di atti
– La mia è fatta di sottrazioni

Qual è la cosa più importante che le è capitata nella vita?
– A parte mia moglie Cristina, la psicoanalisi. L’ho fatta per 24 anni. Senza analisi non credo sarei qui a parlare

E cosa ha provato quando anche l’analisi è finita?
– Un misto di stati d’animo. A volte di sollievo, altre ancora di rabbia

Rabbia perché?
– Conosce il rancore che monta dentro quando ci si sente abbandonati dalla donna che sia ama? Ecco l’analisi per me era la donna che amavo, era il mio latte, il mio nutrimento. A volte sono talmente incazzato con lei che mi dico che non è servita a niente

E lo pensa davvero?
– Non so benissimo che non si può essere pazienti a vita. Lo dice l’esperienza e anche i sacri testi

Rientrano nelle sue letture i vari Freud e Jung?
– Ho sempre avuto un blocco nel leggere cose di psicoanalisi. Quando capitava l’occasione mi dicevo: ma questo testo lo deve leggere il mio psicoanalista, non io che lo pago

Quando ha terminato l’analisi?
– Circa tre anni fa

Si potrebbe insinuare che quando a smesso con l’analisi ha anche smesso di
scrivere

– Detesto le relazioni ricattatorie, del tipo se finisce una cosa finisce anche l’altra. E sebbene a volte ami piangermi addosso, devo dire che la mia vita oggi va molto meglio

Uno Sclavi ottimista?
– Sono un uomo di sinistra, ma l’ottimismo lo lascerei perdere

Del tutto?
– Mettiamola così. Ricordo una frase di Lichtenberg che recitava “Non posso dire se le cose saranno migliori quando cambieranno, ma so che devono cambiare se si vuole che siano migliori”. Lo diceva nel Settecento, ma non credo che oggi dovremmo apportargli molte correzioni

Come ha scelto la casa dove abitare?
– Non è distante dalla clinica dove sono stato ricoverato. Qui intorno è tutto molto bello

Vai spessi a Milano?
– Il meno possibile. Vent’anni fa l’adoravo, oggi mi appare volgare e cattiva

Cattiva?
– Si, incattivita. La sento ostile. Preferisco starmene qui a badare alle mie cose. Vedere i miei film prediletti

Ma non la televisione
– Sono quattro anni che non la guardo, con l’eccezione della partita di calcio che le dicevo

Cinema sì, televisione no. Perché?
– Ciò che il cinema crea, la televisione distrugge

Un entusiasmo motivato da cosa?
– Non lo so. Ero un neonato quando mia madre mi portò le prime volte al cinema

I suoi registi prediletti?
– E’ difficile e forse ingiusto stilare una classifica. Dovrei lasciar fuori Trauffat, rohmer, Hitchcock, De Palma, Chaplin, però…

Però…
– I registi che amo di più in assoluto sono Moretti e Kubrick

Due autori diversissimi
– Sono perfetti. La simmetria di certe scene, il contrappunto delle battute, la freddezza con cui girano, me li fa mettero sullo stesso piano

Moretti è molto più elementare di Kubrick
– E’ raffinatissimo. Solo che non lo fa vedere. Del resto è questa l’arte di un talento: sorprendere nascondendo ciò che altrimenti diverrebbe troppo facile da vedere

Traduca
– A me capitò di dire che Barry Lindon fosse in qualche modo un film di fantascienza. La battuta non fu capita. Poi un giorno ho letto Kubrick sostenere che un film che parla del passato e del futuro è un’opera di fantascienza. Quello che Kubrick spiegava io lo avevo semplicemente intuito