Un Ambrosini in tono minore, più leggero & leggiadro nonché disimpegnato del solito... si accontenta di qualche nozione di fanta-meta-fisica quantistica, adempiendo una storia agile e divertente, quasi scanzonata, come difficilmente vedevo di suo pugno dai tempi di
Napoleone. Questo è in parte un merito, in parte un fattore di detrazione di interesse, almeno per quanto mi riguarda.
Se nei numeri scorsi potevamo - io per primo - sproloquiare disquisendo in sterminati
wall of text su interpretazioni e chiavi di lettura
cultural dei tanti succulenti stimoli infornati dal Conte (per esempio Tiepolo, Pulcinella, ed il patriarcato nel precedente
I Padroni del Nulla,
v. mio lunghissimo doppio post qua) qui c'è una certa aridità di spunti che da uno come lui non mi sembra così scontatamente lecito aspettarsi.
La storia è scritta senz'altro meglio del #413, ma per essere Made in Ambrosini difetta di punti d'interesse (a parte un'infarinatura di suggestioni da Bohm) e non invoglia a nessun approfondimento, perché è povera di caratura e pathos di per sé, mentre i rapporti tra i vari personaggi non presentano lati ambiguamente 'oscuri' o controversi da renderli appetitosi in senso narrativo, a differenza della precedente quadrilogia arlecchinesca, da
Una Nuova Vita fino a
I Padroni del Nulla appunto
.
Insomma, oggi che è 7 Dicembre, non andrei oltre un Ambrogino di Rame, poco santificato e santificante, ma molto libero di svagarsi e prendersi un giorno di libera festività in quel di Bausha-land.
Quindi
voto 7 +Per i dettagli:
S ° P ° O ° I ° L ° E ° RAl King's College sul Tamigi ci sono stato pure io per una conferenza, ma per fortuna quelli che mi ascoltavano non sono stati colti da conati a base di centopiedi o invertebrati del paleozoico come reazione, altrimenti mi avrebbero chiesto pure le spese per i farmaci gastrointestinali e le pulizie
.
Ambro parte spedito e divertito: una lezioncina simpatica come il prof, una buona controparte storica nell'antica Padania razziata dai Cimbri prima e dai Romani dopo, un sotteso di sacrifici umani per salvare l'onore del 'popolo', una cliente 'tosta' con piglio (e mandibolone?) tipicamente scandinavo, un Dylan mediamente indisponente che mi aggrada pur fifoneggiando per un fossile vivente, e qualche druido pseudo-celtico (p.28) che stranamente si circonda di statue che ricordano più divinità assiro-babilonesi
.
Alla fine l'unico personaggio (giustamente) disturbato è solo Bill, con le sue paure e non-proprio-visioni. In tutti gli altri vige una certa disinvoltura da caso secondario, condita da un tot di autoironia frivola tra le righe. Rania e Carpenter a zonzo - pur se aggiunti di seconda mano in un secondo tempo, rispetto all'impianto originale targato 2015 - non appesantiscono la sceneggiatura, mentre tutta la faccenda del
negozietto cinese consuma troppe pagine rispetto al suo reale valore... togliendo spazio a cose che forse meritavano ne meritavano di più, come per esempio la morte del padre di Bill, che così sembra solo un excursus abbozzato lì per agganciarci l'intervento delle indagini poliziottesche.
Forse ci sono un pajo di pseudo-refusi storici, ma magari ci torno dopo in un'appendice a parte. Di sicuro nutro qualche dubbio sul fatto che prima si parli del
padre di Bill come vedovo-NON-risposato (p.34) e poi in procinto di un divorzio fanfarone dall'ultima moglie (p.90)
.
Buone le scene di
viuuulenza barbarica ad hoc, le decomposizioni a suon di invertebrati, la pioggia di sabbia claustrofobica, ed il trauma finale dello spiazzato milite Stazio. Il
papero nero è sicuramente una citazione da qualche fumetto/cartoon d'epoca, ma mi sfugge il collegamento... e se qualcuno vuole darmi qualche dritta (senza rimbalzare sui muri) ne sarei ben lieto. Eleggo ufficialmente mio personalissimo
novus divus Audilio Canem, che come prevedibile in tutte le paradimensioni spaziotemporali fa sempre la parte del servo della f**gna scappandosene con la tizia di turno... perché per lui lo storico campo di battaglia rimane il giaciglio, in compagnia,
videlicet .
A proposito di giaciglio, l'intervento simil-risolutivo di tutta la faccenda (p.82) è la stessa Leida che si erge sul materasso in mutande coi gomiti allargati - tipica posa di sfida femminile, dalla notte dei tempi
- temporaggiando sulle pretese sacrificali del Cimbro... e putrefazione sia. A suo modo una scena divertente e riuscita, anche se a conti fatti, senza intabarrarsi di questioni pata-fisiche estreme,
tutta la storia ruota attorno ad un semplice varco dimensionale interferente , e come dicevo all'inizio, è un po' scarna di materiale per rappresentare un prodotto ambrosiniano doc.
Ornigotti non è quello di vent'anni fa su
Napoleone: anche lui ha virato sulla politica del 'risparmio/semplificazione' in un certo senso (vedi p.45, per esempio). Meno cupo ed incisivo, ma comunque si difende abbastanza bene. Molto bene il carattere 'nordico' di Leida, Dylan griffato simil-Ambro, le armature dei centurioni (Audilio Canem ha una testa di cane/lupa stilizzata sulla corazza, pp 65-66
), le scene di colluttazione, gli interni/esterni londinesi, e gli occhietti dei personaggi che diventano minuscoli quando si stupiscono di qualcosa. Non eccelse le decomposizioni con la vermaglia varia (pp. 68 e 84).
Adesso vi lascio perché nell'ordine implicito delle cose in cui mi ritrovo fluttuante, pare che l'Inter debba giocare contro il Real con qualche speranza di vincere in campo europeo. Se dovessi sbagliarmi, posso sempre sperare in altri campi di realtà... meno ostici.