Su tutto il resto si potrebbe anche concordare - non io, o comunque non del tutto
- ma su una cosa la sfera dell'opinabile rotola nel calderone del dissociabile:
JMZ ha scritto:
@Sclavi - sì, lo so, non c'è... ma c'è: la malattia del fu Guy Rogers era la sua e con questo albo è uscita fuori dalle tavole in tutta la sua forza orribile e devastante; non solo, insieme al dolore è uscita fuori quell'umanità tradita e fragile, tipica di certa poetica sclaviana e che Recchioni riesce a fare sua, arrivando persino a commuovere.
Se si fosse ripreso il problema dell'alcolismo sclaviano nel #4 (mi ri-cito dalla review):
Cita:
tra Anna Never e gli incubi di Guy Rogers c'era un bel darsi da fare, rimescolando motivi, what-if, dietro le quinte, fantasmi etilici, ipnosi da cinemaking, disastri rocamboleschi, etc.
Qua non compare nulla del gioco di specchi/cineprese riflesse che era il cuore visionario della storia sclaviana, a margine del delirium tremens di cui era preda Guy Rogers. Per una volta che il Rrobe poteva inserire, grazie al mondo del cinema, una meta-narrativa azzeccata, ci rinuncia. Per cosa
Per una carrambata con Mater Morbi e le sue menate da seduta intimista
E riscalda la minestrina dei cameo/contentini con Guy Rogers impegnato in un musical semi-demenziale.
Perché il suo discorso sulla malattia va a parare prevalentemente sulla raffigurazione della Mater ed i drammoni esistenzialisti del protagonista. Cosa che Sclavi non ha mai fatto, perlomeno non nei primi 10 anni di produzione... pre-Lillie inzomma. La malattia di Guy Rogers era tutt'altra cosa, era una follia visionaria mascherata da ipnosi che apriva percezioni mostruose o illuminanti (v. finale) .
Qui conduce soltanto ad una rassicurante lezioncina auto-coscienziosa della Mater, con cui comodamente scendere a patti, tra le cosce. Non mi sembra nell'ottica sclaviana questa pedantesca accettazione "di una parte di sé", almeno che non si prenda spunto da rrobe retoriche come
Il lago nel cielo o
Marty, cioè il tardo(ne) Tiziano. E le fragilità che qui propone Recchioni sono molto più abusate e meno sottili di quelle individuate dal maestro, non ultimo il luogo comunissimo della violenza sulle donne o quello delle promesse mai mantenute. Da questo punto di vista, molto più credibile il sadismo umiliante della Barbato nell'affondare il coltello sulle ipocrisie di Dylan messe a nudo: altro che aprirgli le cosce, da complice, più probabile che glielo mozzava... il vizio
Detto questo capisco come possa piacere l'albo, perché in effetti è il meno peggio letto negli ultimi sei mesi sulla serie regolare, ma da qui a dire che Recchioni è entrato nell'orbita dello stile sclaviano, ci passano sei meteore e quattro supernova
ALOHA "
IL CAMMINO CHE HAI ANCORA DAVANTI
È BEN PIÙ LUNGO E TREMENDO"