Un numero straordinariamente denso dal punto di vista della continuity, e che quindi rischiava di risultare indigesto/incomprensibile/sfocato (o, viceversa, poco più di un semplice gioco del tipo "unisci i puntini"): ma la Barbato si dimostra (ancora una volta) scrittrice di vaglia, e riesce a gestire bene l'ingente quantità di personaggi, azioni, cambi di luogo (e di tono) e rimandi che si affollano nelle novantaquattro pagine. In più ci sono un'ottima idea di partenza, dosi massicce di splatter, e una cupezza non comune (il ritrovamento dei cadaveri di
che a dire il vero è il tratto dominante delle ultime storie, da "Eterne stagioni" in poi (esclusa quella di Ambrosini): segno che un lavoro sulla continuità è stato portato avanti, perlomeno in senso tonale. Decisamente adeguati allo scopo risultano i bellissimi disegni di Armitano -anche se ogni tanto si abusa un po' dei retini, mi pare.
I rimandi non sono soltanto narrativi, ma anche tematici: non è un caso, credo, che la scena di Alphie che scende dalla scalinata faccia pensare ad "Attraverso lo specchio" (#10), prima comparsa in assoluto della Morte in Dylan Dog; così come, col senno di poi, mi appare chiaro che la coppia grottesca formata da Gus e Nora, già presenti nel #338 ("Mai più, ispettore Bloch") e nel #349 ("La morta non dimentica"), siano l'omaggio barbatiano ai temi e alle atmosfere di "Tre per Zero" (#125).
E sempre nella sequenza con Alphie, così come in quella alle pp. 35-36 (la signora con i gatti, la famiglia), troviamo altri splendidi esempi del
patetico in senso sclaviano -l'empatia e la compassione di fronte all'insensatezza e alla crudeltà della vita, e alle nostre autoillusioni.
Un albo dichiaratamente "di raccordo" (riepilogativo/preparatorio), ma che svolge egregiamente il suo ruolo.