Ilnomeutenteinserito ha scritto:
sicuramente la storia della Baraldi che mi è piaciuta di più. ho letto un po di post precedenti relativi a dubbi di trama, visto che ultimamente si aggirava per questo forum, potrebbe venire l'autrice stessa a spiegare un po' le cose
Ciao a tutti! Scusate se riesco a passare solo ora a salutarvi e rispondere ai vostri dubbi o curiosità, ma ho avuto qualche problema familiare che mi ha costretta a ridurre il tempo sul web nelle ultime settimane. Ora ho letto tutti i commenti e cercherò di rispondere alle domande senza annoiarvi troppo.
Come avete visto, la storia è un grande omaggio agli slasher movie. Non a caso, avevo scelto come titolo di lavorazione "Final girl". Nei capisaldi del genere, i protagonisti sono quasi sempre adolescenti che vengono massacrati a uno a uno dal killer di turno con le più svariate armi da taglio, e in modi decisamente splatter. Nello slasher la "compattezza della trama" non è un elemento cardine, ma viene spesso privilegiata la spettacolarizzazione della morte. Ho cercato di giocare su questo e su tutti i cliché del genere.
Le situazioni sono al limite del grottesco, a partire dal sosia di Sheldon Cooper in veste di Killer della metro, o l'assurda catena di eventi che provoca la morte del collezionista.
SPOILER: Per rispondere a chi chiede delucidazioni su Faccia da morto e sul finale riguardante Sally. Credo che toglierei valore alla vostra lettura se vi spiegassi per filo e per segno la mia visione. Ho costruito appositamente il finale in modo che ognuno possa farsi la propria idea. Personalmente, adoro trovare un finale a più interpretazioni. Meglio che lo spiegone finale di Perderai la testa, no?
Posso dire comunque che @Aleksandr è molto vicino all'idea che ho cercato di trasmettere. Lo cito: «Mi paiono esserci diverse Faccia di morto per un'unica maschera.
Quello reale che sterminò la famiglia di Sally e fu da lei freddato (cosa che la ragazza sembra aver rimosso e ricordare solo alla fine), ma stabilì con lei un legame di sangue e divenne una presenza fissa nella sua mente, presenza più tangibile dopo il film e le stragi cui lei ha assistito/è scampata.
Poi c'è l'emulo, con la stessa maschera (oggetto maledetto? è in qualche modo posseduto dal killer originale?) che mescolando realtà e finzione realizza una tragica messinscena.
O è il fantasma, evocato dalla mente di Sally, magari potenziato da quell'energy drink che è la meteora, ad essere dietro tutto quanto?»
E poi, visto che preferisco sempre che a parlare siano i lettori, c'è un ragazzo su Facebook che ha condiviso sulla sua opinione sulla mia bacheca e, anche in questo caso, ho pensato "accidenti, è proprio quello che cercavo di comunicare". È un po' lunghetto, ma riprende tutte le domande che avete fatto riguardo le interpretazioni del finale. Il ragazzo in questione di chiama Samuele. Ecco qui il suo commento:
«Questo è un albo a molteplici strati narrativi, e vorrei partire da quella che credo sia lo strato "più basso", nel senso di "profondo", cioè il "nucleo" narrativo dell'intera storia.
Credo che la storia di Sally sia, in un’ultima analisi, la potenziale storia della vita di tutto coloro che, avendo subito un forte trauma in età infantile, qualora non riescano a ottenere un aiuto concreto, probabilmente "diventeranno un tutt’uno" con questo trauma. Sarà quindi condizione necessaria un secondo – e violentissimo – trauma per poter ottenere una liberazione, tristemente "finale".
Tutta la storia è un grosso cerchio che si chiude, con un meccanismo quasi “di sottrazione”, che toglie, poco per volta, un quid fino ad arrivare al cuore, al nucleo, di un dramma personale.
Vi è un violento disastro stradale nelle prime tavole dell’albo, con tante morti di innocenti. Seguono morti sulla metropolitana (che sono in numero più circoscritto delle precedenti). Ci si focalizza poi sulla “maschera”, tema canonico dello slasher (come sottogenere ben codificato dell’horror), ma anche dell’animo umano: indossiamo tante maschere, perché il nostro “io” è la summa di tanti aspetti: nel momento che indossiamo, però, una singola maschera, perché lo decidiamo noi di farlo, tentiamo forzatamente (e quindi, non sinceramente) di mostrare solo una di queste personalità. Così come una è la final girl, l’ultima a rimanere di molte morti. Così, dopo molti incidenti catastrofici, arriviamo alla “morte” come stato d’animo che è dentro di noi, che è solo nostra, e che diventa il nostro metro di giudizio costante per il mondo che è fuori. E questo stato d’animo è il risultato di un lungo processo, nato nell’infanzia, e che è cresciuto con noi, come un demone che ci ha divorato per anni.
Non avendo il coraggio di affrontarlo (o, anche, non avendo avuto la fortuna di trovare qualcuno in grado di aiutarci veramente, al di là di quella che può essere la buona fede di molti), alla fine diventiamo noi stessi questo demone: siamo gli ultimi, gli isolati, gli emarginati di quella ricerca della felicità che dovrebbe essere il bene che ogni individuo. Si dovrebbe, per lo meno, avere sempre la speranza di poterla conquistare, almeno una piccola parte, ogni giorno.
Ma la vita, si sa, è un mosaico, un puzzle, dalla forma indecifrata. Il nostro errore è proseguire inserendo i tasselli nella parte “sbagliata”, in quella che ci porterà in un buco nero, che ci toglierà gli anni, le gioie, la vita. Ed è la scelta più facile, quella di ingigantire questo demone con tanti altri pezzetti: questo demone è la nostra ossessione, è il nostro pensiero fisso, ed è naturale cercare di capirlo, perché ci è così "famigliare", essendo oramai una parte di noi. Non è questa la soluzione per domarlo e, forse, sconfiggerlo, ma è impossibile capirlo da soli, soprattutto quando ci sentiamo soli, soli dal più profondo dell’animo, e forse anche colpevoli di qualcosa.
Mi spingo ancora più in là nella lettura di questi strati (sbagliando, probabilmente). Dylan Dog, nel momento che si mostra “innamorato” di Sally, fa capire (ma non sarebbe la volontà di Dylan) alla donna che lei non è pronta per questo amore: lo apprezza, ma lei è oramai la final girl di se stessa. Abbiamo “odiato” (e quindi “amato”) il demone che è in noi, e non siamo stati in grado di "ignorarlo" (e, quindi, di affrontarlo in altri e migliori modi) e ora, davanti alla vera potenziale gioia, non siamo più in grado di accettarla.
Arriviamo così, a una tragica conclusione. Siamo "liberi", sì, ma abbiamo perso tutto.»
Risposte sparse:
- La pioggia di detriti a qualcuno è sembrata una trovata strana, mentre spesso è uno dei segnali che anticipano l'arrivo di un grande asteroide.
- Sì, la storia è un pochino stata tagliata nel "secondo" finale.
Off-topic:
Ci tengo a dire che il commento di Bertuccia mi ha fatto particolarmente piacere. Non solo perché la scorsa mia storia non le era piaciuta mentre questa l'ha convinta, ma perché giudica ogni volta gli albi senza preconcetti, con commenti scritti con passione e un modo di esprimersi così diretto e cristallino che è un piacere da leggere.
Come dicevo la scorsa volta, non è il commento negativo a fare male – un albo può piacere o non piacere – ma è il pregiudizio. E in questi anni, mi sono trovata tante volte a dover lottare contro dei pregiudizi.
Pregiudizi perché sono donna "e le donne dovrebbero scrivere storie rosa. Perché scrivi horror?" E no, non è una battuta, ma una domanda che mi sento rivolgere spesso. Pregiudizi perché vengo dal romanzo e anche se ho imparato a leggere con i fumetti, e prima di scrivere sceneggiature ho studiato a lungo, sto ancora studiando e non smetterò di farlo, comunque rimarrò per sempre una outsider. E infine, pregiudizi in quanto ousider, visto che non faccio parte di nessun "circoletto" e ho collaborato con Bonelli sia all'epoca della gestione Gualdoni che ora con Recchioni, lavorando a testa bassa e cercando di fare sempre del mio meglio, con tutto il rispetto e la gratitudine che nutro nei confronti di Tiziano e del suo personaggio.
Che poi, se vogliamo dirla tutta, il pregiudizio non aleggia soltanto nel mondo del fumetto, ma la faccenda si estende a tutte le forme di espressione. Un esempio su tutti, tratto dalla mia esperienza: ero al terzo romanzo e in Italia il "salotto letterario" mi snobbava, nonostante l'apprezzamento dei lettori e i premi vinti (avete citato più volte il grande Pinketts, lui è stato tra i primi a credere in me, proprio al Gran Giallo dove aveva combattuto per il mio racconto, senza neanche sapere chi fossi- era tutto in forma anonima). Fatto sta che appena il libro è stato tradotto in Inghilterra e in America, la BBC è venuta a intervistarmi, affiancandomi nel documentario "Italian noir" ai più grandi sul genere in Italia come Camilleri, Lucarelli, Carlotto e De Cataldo. Alla mia domanda: "perché io?" l'intervistatore mi ha detto semplicemente che aveva apprezzato il mio romanzo "perché ritraeva un'Italia diversa dai luoghi comuni ben noti all'estero, ma mettendo in risalto contraddizioni e problematiche contemporanee senza fare sconti". Fu commovente, avevo scoperto che all'estero la meritocrazia (a volte) non si deve scontrare con il pregiudizio.
Credo sia importante parlare di pregiudizi perché possono davvero far danni e andrebbero sradicati (penso a talentuosi esordienti che ne sono stati stroncati, ripeto, non solo nel fumetto ma in tutte le forme d'espressione artistica).
Detto questo, sono felice di partecipare, seppur sporadicamente e con i limiti del mio ruolo di autrice, a un forum che è un po' un'isola felice, in cui gli utenti sono accumunati dalla stessa passione.
Grazie per chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui. Ora passo e chiudo davvero, che ho già scritto un tema. Ma rimango in zona per ulteriori domande, sperando di non avervi annoiato troppo.