All'epoca mi sarei unito senza esitazioni al coro di elogi per l'esordio da autore completo di Ambrosini. Oggi, un po' come mi è accaduto con "I giorni dell'incubo" (ma in maniera meno grave rispetto al debutto di Manfredi), la rilettura mi ha fatto perdere un po' di entusiasmo, e inizio a sospettare che, almeno per quanto mi riguarda, in entrambi i casi a colpirmi fu soprattutto il fatto di trovarmi di fronte a uno stile narrativo molto diverso da quelli di Sclavi e Chiaverotti.
In altri termini: forse senza neppure esserne consapevole, avevo (avevamo?) tutti bisogno e voglia di qualcosa di diverso, su Dylan Dog, dopo cinque anni dominati in maniera pressoché assoluta dalla diarchia di cui sopra, e questi due esordi nell'arco di tre mesi ci diedero la speranza di aver trovato delle penne che potessero affiancare più che validamente uno Sclavi ormai già a mezzo servizio e un Chiaverotti piuttosto affaticato dalla mole di lavoro di quei mesi (un po' quello che accadde anche con "Il vicino di casa" di Ruju, e per alcuni con "Marionette" di Gonano).
De Chirico, Pirandello, Pinocchio, Freud (a parte la "scena primaria", la storia è letteralmente costruita sul meccanismo di rimozione/sostituzione)... ancor prima del tema classico ma sempre fecondo della doppia identità, forse a conquistarmi fu il rimando a un immaginario quasi del tutto inedito, per la testata, e uno stile di scrittura particolare, molto sobrio e quasi per nulla enfatico. Prima di prendere definitivamente il largo con "Il guardiano della memoria", e poi con la meravigliosa avventura di Napoleone, Ambrosini riuscì a confezionare un thriller psicologico onirico ma realistico, rarefatto ma teso e a tratti disturbante (la suddetta scena primaria, con i gemelli che spiano i genitori in camera da letto), che oltre ai nomi già citati contiene forse anche un omaggio all'Hitchcock (a sua volta imbevuto di Freud) di "Io ti salverò": anche qui la scena chiave, il ricordo che viene svelato solo alla fine, vede un ragazzo che provoca involontariamente la morte di suo fratello.
Tutto molto bello e affascinante, grazie anche ai disegni ancora "old style" di Ambrosini... e allora, cosa mi impedisce di considerarlo un capolavoro? Be', in primis c'è il fatto che uno sceneggiatore raffinato come lui avrebbe potuto trovare un modo meno disonesto per suggerire la presenza di due gemelli, invece di mostrarceli sempre in coppia per poi rivelarci solo alla fine che uno dei due non esiste. Inesistenza che, a una seconda lettura, rende diverse situazioni inspiegabili o incongrue: ad esempio gli scambi di macchina nei parcheggi (vedi pp. 10 e 14), o il fatto che il cottage nello Yorkshire sia intestato a Michael Ganz (dobbiamo supporre che Paul abbia fabbricato dei documenti falsi, per dimostrare l'esistenza del gemello scomparso), e ancor prima il fatto che il padre, al funerale del gemello, si rivolga al figlio sopravvissuto chiamandolo appunto Paul (come continuerà a fare la madre). Il che, ovviamente, è inspiegabile solamente se prendiamo per buono il ribaltamento conclusivo, un controfinale chiaverottiano nel senso peggiore del termine (vedi, ehm, "Delirium"): lo scambio di nomi sarà anche spiazzante, ma non spiega nulla, non regala nessun brivido ulteriore, e non aiuta a vedere la vicenda con occhi nuovi -è unicamente ad uso del lettore, per così dire, dato che viene rivelato in una visione in punto di morte, e dunque Dylan Dog non può venirne a conoscenza (e tanto meno può sapere che si sia trattato di una disgrazia).
(La sequenza della caduta non è chiarissima, forse si sarebbe potuto fare di meglio: ad esempio, mostrare che a provocare involontariamente l'incidente era stato Michael, che era inciampato perché, dopo tutto quel tempo in sedia a rotelle, era ancora poco abituato a camminare).
_________________ Non giudicare gli uomini sulla base delle loro opinioni, ma da ciò che le opinioni possono fare di loro. (Georg Christoph Lichtenberg)
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