Sarebbe bello conoscere l'ordine in cui le storie sono state
ultimate, piuttosto che pubblicate: quest'albo esce a fine gennaio 1994, ma a pagina 28, alle spalle della segretaria, si vede un calendario che indica gennaio 1992 (e comunque anche l'ultima tavola è datata 1992). Quindi sì, come altre volte in quel periodo è ragionevole il sospetto che alcuni albi siano stati "scongelati" e mandati in edicola a mo' di tappabuchi -niente di scandaloso, per carità, le dinamiche e le esigenze editoriali le conosciamo tutti, bene o male.
Ciò detto, questo primo capitolo dell'esalogia chiaverottiana (i numeri dall'89 al 94) non mi pare certamente il peggiore, anche se oggi mi attrae decisamente di meno: a quattordici anni, l'idea che gli universi finzionali siano in qualche modo "veri" è ovviamente esaltante, a quarant'anni (e dopo aver visto e letto variazioni decisamente più interessanti sul tema) un po' meno, soprattutto se le regole dello spostamento tra i mondi non appaiono granché chiare -cosa vorrebbe dire che "le forze negative di Aloysius" hanno provocato l'interferenza? Le spiegazioni di Dylan non spiegano pressoché nulla, e il finale la butta sul poetico, ma con meno successo di altre volte (posso anche accettare che esista ancora qualche comunicazione tra il mondo di Dylan e quello dei libri di Sabrina, ma a quel punto sarebbe stato più gustoso far arrivare sul letto di Dylan un intero libro, che magari ricapitolasse la vicenda dell'albo che abbiamo appena letto, invece di un singolo foglio).
La spacconaggine del Dylan chiaverottiano a tratti funziona, a tratti mi irrita -come quando, a pagina 19, dopo che Sabrina si risente per essere stata lungamente presa in giro, si sente dire di "non fare la bambina".
Impossibile non rinnovare le lodi per Brindisi, che in queste tavole (oltre a iniziare a far le prove per Tex, con tutti quei cavalli) rivela che il suo tratto chiaro e dettagliato si adatta alla perfezione a un contesto fantasy: draghi, cavalieri, castelli, boschi, armature, metamorfosi... si capisce che si è divertito un mondo, a disegnare questa storia, tanto da infilarcisi nel ruolo dello psicanalista -che, come praticamente in tutte le storie di Chiaverotti che riesco a ricordarmi (e forse nella maggior parte delle storie di Dylan Dog), non ha di fatto alcun peso narrativo.