Mi pare di aver letto che il titolo di lavorazione di questa storia fosse "Bloodsbury", bel gioco di parole col quartiere londinese di Bloomsbury (quello del famoso circolo che comprendeva Virginia Woolf, E.M. Forster, John Maynard Keynes), che forse avrebbe reso meglio l'importanza narrativa della location, a conti fatti il vero protagonista della storia, rispetto al più generico titolo dylaniano che ha finito per esserle assegnato.
La rilettura me l'ha fatta balzare in testa al sestetto chiaverottiano che inaugurò il 1994, a dire il vero più per demeriti altrui (ne riparliamo sul thread di "La donna che uccide il passato"...) -e per gli enormi meriti di Roi, che secondo me qui è ai suoi massimi, ed è bravissimo a immergere la vicenda in un'atmosfera oniricamente morbosa che trasuda polvere, sporcizia, decadenza: doveroso citare almeno la vignetta centrale di pagina 27, l'azzardata scena di zoofilia aracnidea, ma anche la sequenza di pagina 68, con il bambino sullo scivolo e la madre che scompaiono. Come Brindisi pochi mesi prima in "I cavalieri del tempo", anche qui il disegnatore si riserva un piccolo cameo (nel ruolo, appunto, del fumettista). Dopo un periodo piuttosto calmo, da quel punto di vista, Chiaverotti torna a sbizzarrirsi con gli omicidi: la stanza che divora la ragazza, l'astronave che esce dallo schermo del cinema, le streghe invischiate in un fluido nerissimo...
E però, nel complesso, il totale mi si presenta inferiore alla somma dei dettagli: forse perché non ci sono personaggi particolarmente interessanti; forse per l'invadenza della voce fuori campo, e per il suo tono comico/retorico che troppo spesso mi risulta più fastidioso che poetico o pauroso (noto che anche in "Titanic" avevo percepito la difficoltà dell'autore a gestire bene le variazioni di registro -effetto dell'impegno eccessivo di quei mesi?); forse perché è perlopiù una sequenza di omicidi strani in mezzo alla quale Dylan non investiga davvero, lascia perdere senza troppi rimpianti l'unica pista interessante (quella delle Wiccane), e non combina quasi nulla fino a pagina 89 -e anche lì, lo devono letteralmente trascinare davanti alla soluzione del mistero. Soluzione non insoddisfacente, di suo (anche se lo sbalzo tonale nella voce di Bloodsbury, che per quasi tutto il tempo si è espressa con un'ironia da serial killer di B-movie e alla fine la butta sul patetico, mi impedisce di trovarci molta poesia), ma presentata in maniera fin troppo didascalica, al punto che la parola "indifferenza" compare per ben due volte nelle ultime tre pagine, prima sulle labbra del morto e poi nei pensieri di Dylan, tanto perché il lettore non abbia dubbi sul messaggio della storia.
Curiosità: qualcuno ha capito chi diavolo è il tizio nelle ultime due vignette di pagina 52?
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